Professore: Lei promette bene, le dicevo, e probabilmente sbaglio, comunque voglio darle
un consiglio, lei ha una qualche ambizione?
Nicola: Ma… non…
Professore: E allora vada via… Se ne vada dall’Italia. Lasci l’Italia finché è in tempo. Cosa
vuol fare, il chirurgo?
Nicola: Non lo so, non… non ho ancora deciso…
Professore: Qualsiasi cosa decida, vada a studiare a Londra, a Parigi, vada in America, se
ha le possibilità, ma lasci questo Paese. L’Italia è un Paese da distruggere: un posto bello e
inutile, destinato a morire.
Nicola: Cioè, secondo lei tra un poco ci sarà un’apocalisse?
Professore: E magari ci fosse, almeno saremmo tutti costretti a ricostruire… Invece qui
rimane tutto immobile, uguale, in mano ai dinosauri. Dia retta, vada via…
Nicola: E lei, allora, professore, perché rimane?
Professore: Come perché?! Mio caro, io sono uno dei dinosauri da distruggere.

Tratto da “La meglio gioventù” di Marco Tullio Giordana

 
Questa citazione riporta nelle menti di noi un’immagine quasi indelebilmente legata agli ambienti accademici: il barone-dinosauro, che non vuole in alcun modo lasciare il proprio posto e disposto a tutto, anche a subissare colleghi e dottorandi, pur di tenere il proprio
posto e permettere solo ai suoi “eletti” di entrare nel mondo accademico. Ma siamo così sicuri che l’università sia veramente popolata solo da questi cariatidi e che l’unica soluzione sia la fuga all’estero? Certamente osservando le ultime statistiche la situazione è chiara: la fuga di cervelli all’estero ha raggiunto, ormai, numeri elevatissimi. Il Centro Studi Idos stima un’emigrazione giovanile pari a 285.000 persone (solo 15.000 in meno del secondo dopoguerra). Ma la colpa, rimane solo di questi, per fortuna pochi, professori-baroni o la fonte del problema è da ritrovare in altro?
Come Sinistra Per… riteniamo che troppo spesso si limiti la questione al nepotismo familiare, come avvenuto nel 2010 con la legge n.240 (c.d. “Riforma Gelmini”). Essa, infatti, ha tentato di risolvere, malamente, il problema del baronato, impedendo la coesistenza di
parenti stretti all’interno dello stesso dipartimento. Tale legge, tuttavia, non è stata in grado di limitare gli “scambi” tra diversi Dipartimenti e Atenei, andando semplicemente a spostare il problema, anziché risolverlo.
Il primo errore della legge è stato, infatti, rimettere tutto il reclutamento nelle mani dei professori ordinari, ormai divenuti, a causa del blocco del turnover, una “casta” sempre più vecchia e gelosa dei propri privilegi.
Il secondo grave errore è stato concedere assoluta discrezionalità nella stesura dei regolamenti per il reclutamento e dei singoli bandi di concorso, rendendo, di fatto, concreta la possibilità di stendere bandi per profili così dettagliati da configurare un vincitore
predestinato e scoraggiare potenziali candidati, oltreché quella di favorire i propri “pupilli”.
Il problema principale, tuttavia, siamo convinti sia riconducibile non solo all’azione di pochi, ma ad un modo radicato di agire e pensare da parte delle forze politiche, che negli anni si sono succedute perpetrando, proprio a partire dalla Riforma Gelmini, un continuo definanziamento dell’università e della cultura. Ad oggi risultiamo infatti classificati come ultimi nella classifica dei 35 paesi OCSE per il finanziamento alla ricerca e all’università.
L’Italia secondo tali statistiche dedica solo l’8,6% dei suoi investimenti a tale settore, contro una media OCSE del 12.9% e con una differenza di 13 punti percentuali dalla Nuova Zelanda, il paese che maggiormente finanzia il settore. Tale sotto-finanziamenti hanno portato a cinque principali conseguenze, le quali, ovviamente, sono state pagate in prima persona dagli studenti stessi, andando ad incidere sia sulla didattica sia sulle possibilità di studio e vita culturale:
1. Scarsità di fondi di ricerca, strutture inadatte e obsolete, paghe da fame e mancanza di prospettive, che hanno indotto molti a fuggire all’estero o rinunciare al titolo di laurea. Non è un caso, infatti, che l’Italia risulti essere la penultima degli stati europei per numero di laureati (26,2%) e dietro di noi vi sia solo la Romania (25.6%).
2. Diminuzione dei concorsi di dottorato con conseguente diminuzione del numero di docenti
3. Precariato di dottorandi ed assegnisti, che sono stati “espulsi” dalle università in mancanza di fondi per un rinnovo contrattuale.
4. Pensionamenti con mancato turn over
5. Diminuzione delle borse di studio che permettano ai più meritevoli di accedere all’istruzione universitaria
Quindi, se qualche settimana fa il GIP Antonio Pezzuti, riguardo l’operazione “Chiamata alle Armi”, che ha direttamente coinvolto il nostro ateneo, si è ritrovato a commentare l’azione dei coinvolti come un «totale spregio per il rispetto del diritto messo in atto proprio da professori che sarebbero deputati a insegnare il valore di esso» , certamente è doveroso tenere conto anche del contesto in cui tutto questo è avvenuto e cosa abbia favorito un sistema universitario malato in cui chi merita di emergere deve lottare e sgomitare ogni giorno contro le ingiustizie che si protraggono nei corridoi dei diversi atenei italiani. È necessario, inoltre, considerare che ogni tipo di reato, anche la corruzione, si rendono più forti andando a rendere concretamente più difficile l’accesso e la permanenza in un sistema di cui si fa parte o di cui si vorrebbe far parte.
In conclusione, come Sinistra Per…, esprimiamo la nostra vicinanza a coloro che ogni giorno lottano contro i soprusi, le umiliazioni e l’incapacità di avere amor proprio per ottenere la benevolenza dei “dinosauri” di un sistema malato e chiediamo il loro contributo al fine di favorire un dialogo tra le diverse parti della comunità accademica, volto a rendere possibile un rafforzamento delle stesse tramite proposte comuni che riportino il tema dell’università e delle politiche universitarie al centro del dibattito politico.lamegliogioventu