Le Università sono sotto attacco, sul piano istituzionale come su quello culturale. Da una parte un Governo che vuole entrare fisicamente nei CdA; dall’altra il controllo strumentale del sapere.
Sono esempi di attuazione le Linee Guida per l’insegnamento della Storia alle superiori (marzo 2025) e la lettera a firma Mancini (Segretariato Generale del MUR) in cui si invitano i Rettori a ristabilire l’ordine negli Atenei in seguito alle manifestazioni per la Palestina.
In questo clima si inserisce il procedimento disciplinare – avviato su segnalazione – nei confronti di una studentessa che si è permessa di definire il Prof. Rino Casella “incompetente” in un commento social. Lo stesso Casella che ha cavalcato la polemica di una notizia da lui stesso fabbricata, quella di essere stato aggredito da studentɜ che manifestavano per la Palestina lo scorso 16 settembre.
Alla studentessa viene contestata la violazione dell’articolo 2 lettera b del “Regolamento per i provvedimenti disciplinari agli studenti”, quindi di aver messo in atto un comportamento offensivo della dignità del docente in questione.
La nostra posizione è netta: all’interno della commissione esprimeremo il nostro dissenso dell’utilizzo strumentale della segnalazione, chiedendo di archiviare questa e simili pressioni che si potrebbero ripresentare.
Questo clima di repressione non è certo una novità, soprattutto quando si parla del genocidio in corso a Gaza.
Il Governo italiano negli ultimi tempi non gode di buona fama per quanto riguarda la gestione del dissenso. Basti pensare alle macchinazioni che hanno accompagnato l’approvazione del DL Sicurezza, al quale si è aggiunto tra i tanti di recente un nuovo provvedimento ancora più specifico: il DDL Gasparri.
Cosa prevede il DDL Gasparri?
Tra le varie misure, stabilisce che le Università debbano segnalare tutti gli atti considerati “antisemiti”, applicando però la definizione operativa delineata dall’IHRA.
Quest’ultima definizione assimila le critiche al governo israeliano all’odio contro il popolo ebraico, mettendo sotto l’etichetta di antisemitismo anche l’opposizione al sionismo.
Confondere antisemitismo con antisionismo è estremamente pericoloso, perché mette sullo stesso piano due piani diversi anche se a volte sovrapponibili. Per esempio, l’odio verso il popolo ebraico e la critica politica verso il governo di Israele e l’ideologia sionista è un qualcosa di ampiamente rifiutato da buona parte di persone di fede ebraica (soprattutto in diaspora). In questo modo, si finisce per legittimare la propaganda israeliana, che da anni sostiene che “chi critica Israele odia gli ebrei”, una logica tipica dei regimi che vogliono mettere a tacere il dissenso.
Un simile approccio è pericoloso per la libertà accademica e di espressione in generale: se le università devono segnalare “atti antisemiti” basandosi su definizioni ambigue, anche una discussione scientifica o un’analisi politica potrebbe diventare motivo di contestazione. Si genera in questo modo un clima di censura, in cui studenti e docenti rinunciano a esprimersi per paura delle conseguenze.
Non accettiamo che il dissenso venga soffocato, che l’università diventi terreno di censura e che la libertà di parola venga piegata agli interessi di un altro Stato. Non ci faremo intimidire da chi usa la repressione come strumento politico e la paura come metodo di controllo. Rivendichiamo il diritto di pensare, di parlare e di schierarci senza doverci giustificare.
Nel clima di repressione che attraversiamo alcuni sparuti docenti continuano a marciare sulle vicende che li hanno riguardati con la consapevolezza di offrire al dibattito pubblico un episodio facile da strumentalizzare e di dare agio a politiche regressive sulla libertà di espressione.
Non saremo complici di un governo che si piega a narrative imposte dall’esterno e che tradisce i principi stessi della democrazia. Continueremo a denunciare, a esporci e a far rumore, perché il silenzio è ciò che vogliono. E il silenzio, da parte nostra, non lo avranno.
