2 agosto 1980
Alle 10.25, nella sala d’aspetto della seconda classe della stazione di Bologna Centrale, esplode un ordigno a tempo, uccidendo 85 persone e ferendone oltre 200. Si tratta dell’attentato più grave del secondo dopoguerra, di matrice neofascista. Vengono condannati quali esecutori i neofascisti dei NAR (Nuclei Armati Rivoluzionari) Giuseppe Valerio Fioravanti, Luigi Ciavardini e Francesca Mambro; vengono invece condannati per il depistaggio delle indagini l’ex capo della loggia massonica “P2” Licio Gelli, l’ex agente del servizio segreto militare (SISMI) Francesco Pazienza e i due alti ufficiali Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte, rispettivamente generale e colonnello del SISMI. Restano ancora ignoti i mandanti.

È fondamentale ricordare questi eventi e contestualizzarli nel particolare momento della storia del nostro paese in cui sono avvenuti.
Sono passati 43 anni e di questo fatto, così come di gran parte della storia italiana del dopoguerra, la nostra generazione viene a conoscenza perlopiù tramite racconti e ricerche individuali – raramente sui banchi di scuola – rendendo difficile la presa di consapevolezza di come certi eventi hanno profondamente plasmato il presente in cui viviamo.

Oggi sentiamo imputare la responsabilità di questo attentato ad un generico “terrorismo” da parte della attuale presidente del Consiglio. Non ci stupiamo del fatto che una verità ormai accertata venga rifiutata e screditata, più o meno direttamente, da una destra i cui legami storici e ideologici, ben documentati e comprovati, riportano esattamente alla medesima area politica di quel terrorismo. La stessa destra che ha recentemente posto alla presidenza della commissione parlamentare antimafia la deputata Chiara Colosimo, divenuta nota per i suoi rapporti con il terrorista dei NAR Luigi Ciavardini, co-responsabile della strage di Bologna.

Questo ci deve ricordare la permeabilità delle nostre istituzioni rispetto ai neo-fascismi e la necessità di difenderne l’integrità democratica.
In questo, la nostra formazione critica è oggi più che mai importante, per difenderci dagli insistenti tentativi di revisionismo storico di chi ancora non vuole accettare l’antifascismo come valore fondante della nostra democrazia.