Oggi eravamo in corteo a fianco deз lavoratorз della GKN, contro i licenziamenti collettivi e la delocalizzazione della produzione. Contro l’ennesima dimostrazione che le vite delle persone contano solo nel limite in cui sono asservite alla ricerca del profitto di pochi.

Da quando il governo ha rimosso il blocco dei licenziamenti, abbiamo assistito ad una sequenza di annunci di licenziamenti collettivi. Quelli più massicci, e quindi balzati all’onore delle cronache, da parte di grandi multinazionali. Dalla Whirpool di Napoli, alla Giannetti in Brianza, una cadenza infernale di centinaia di lavorator3 e famiglie vedono le proprie esistenze sconvolte a causa dei licenziamenti. Ovviamente c’era da aspettarselo.
Del tutto sterili e prive di senso le dichiarazioni del Ministro Giorgetti ed altri esponenti del governo che hanno affermato la necessità dello sblocco dei licenziamenti e la loro critica ai modi utilizzati per procedere ai licenziamenti “troppo traumatico”.

Sono più di vent’anni che assistiamo ad un progressivo e martellante smantellamento delle tutele della componente lavoratrice. Somministrazione di lavoro, contratti a chiamata, licenziamenti sempre più facili e immediati, una precisa impalcatura di norme, stratificatesi nel tempo, atta a compiere una violenza economica che lз lavoratorз dovrebbero semplicemente accettare e subire silenziosamente in nome di un bene superiore: quello di risollevare l’economia.

Multinazionali che prendono sempre e non pagano mai. (Im)prenditori che continuano ad ottenere finanziamenti a pioggia dallo Stato, collettivizzando le perdite e conservando i profitti (ricordiamo che la Texprint è riuscita a ottenere 350 mila euro di finanziamenti pubblici per la riconversione della fabbrica per la produzione di mascherine, ma dove i lavoratori, in sciopero permanente da 6 mesi, venivano sfruttati 12 ore su sette giorni a nero o con presunti contratto di apprendistato). Privatizzazioni ed esternalizzazioni. Tutte ricette messe in campo negli ultimi vent’anni, tutte dimostratesi inefficaci per la ripresa dell’economia e la tutela dei diritti sociali. Eppure nel PNRR vediamo che nessuna rotta è stata invertita. Lo stato sociale rimane a brandelli, mentre chi è ricco avrà sempre di più.

A dimostrazione di ciò il dibattito di questi mesi sul reddito di cittadinanza, unico sostegno che ha permesso alle persone di sopravvivere e di esercitare una pressione al rialzo sui salari, il cui mantenimento e rafforzamento viene osteggiato dalla classe imprenditoriale in cerca di un esercito di precarз da sfruttare. Rifiutiamo fortemente una narrazione che ci vede come pigrз e desiderosз di campare con i sussidi statali, che addossa completamente su noi stessз le responsabilità della nostra condizione materiale e dei nostri destini, che ci educa allo sfruttamento sin dalle scuole superiori.

Diciamo basta, basta piegare la testa, la rabbia sociale che si sta scatenando porta con sé la consapevolezza che no, non è colpa nostra se veniamo licenziatз in tronco o se non riusciamo a trovare un lavoro stabile magari dopo aver passato anni sui libri e conseguito numerosi titoli, è colpa di un sistema che non ci vede come persone, ma come bestie da sfruttare al massimo, per poi essere gettate via al momento più opportuno.

“Non c’è resa, non c’è rassegnazione, ma solo tanta rabbia che cresce dentro me”